Non cambierai mai le cose combattendo la realtà esistente. Per cambiare qualcosa, costruisci un modello
nuovo che renda la realtà obsoleta.” Richard Buckminster Fuller
Mi ricordo quando da bambino, Laurone mi accompagnava a scuola e passavamo tutti i giorni di fronte alla segheria.
Per un bambino vedere questo piazzale con cataste di tronchi sezionati era qualcosa di misterioso ed affascinante.
Un paesaggio evocativo che spiegava più di mille parole l’identità del territorio e ne rendeva partecipe chi lo attraversava.
Oggi, invece della segheria, c’è un enorme complesso edilizio incompiuto. Noi lo vediamo come l’emblema di uno strappo avvenuto quando le logiche dell’accumulazione economica hanno preso il sopravvento su quelle del saper fare.
Non proponiamo una visione nostalgica del nostro lavoro, spesso appannaggio più di campagne pubblicitarie che alla reale qualità del prodotto, sappiamo che oggi ci sono molti modi di essere artigiani, che spesso convivono e danno valore aggiunto ad una produzione più industrializzata.
Useremo le parole del sociologo Richard Sennett, che sul tema ha elaborato numerose riflessioni nel libro “L’Uomo Artigiano”:
La parola “artigiano” evoca immediatamente una scena. Se spiamo dalla finestra di una bottega di un falegname, vediamo un uomo di una certa età circondato dai suoi apprendisti e dai suoi arnesi. L’ordine regna sovrano: parti di sedia impilate secondo il tipo, l’odore fresco dei trucioli riempie il locale, il falegname è chino sul suo bancone, intento ad incidere con precisione le forme per un intarsio. Ma la sopravvivenza della bottega è a rischio da quando hanno aperto una fabbrica di mobili in serie in fondo alla strada.
Si può scorgere l’artigiano anche in un laboratorio scientifico poco lontano. Una giovane tecnica osserva accigliata sei cavie morte, riverse sul bancone, con la pancia aperta da un’incisione. È preoccupata perché l’iniezione che ha praticato alle cavie non ha dato i risultati previsti; si sta chiedendo se ha sbagliato lei nell’eseguire l’operazione o se è sbagliato il procedimento.
Possiamo trovare un terzo artigiano nel Conservatorio cittadino. L’orchestra sta facendo le prove di un concerto con un direttore venuto da fuori; il direttore lavora ossessivamente sulla sezione degli archi, fa ripetere innumerevoli volte alcune battute per ottenere la perfetta sincronizzazione del movimento degli archetti. I musicisti sono stanchi ma anche euforici, perché sentono che il suono prodotto è sempre più compatto. L’amministratore è preoccupato; se il direttore va avanti in questo modo, finisce che l’amministrazione dovrà pagare gli straordinari agli orchestrali. Un problema che non sfiora minimamente il direttore.
Il falegname, la tecnica di laboratorio e il direttore d’orchestra sono tutti artigiani, nel senso che a loro sta a cuore il lavoro ben fatto per se stesso. Svolgono un’attività pratica, ma il loro lavoro non è semplicemente un mezzo per raggiungere un fine di un altro ordine. Se lavorasse più in fretta, il falegname potrebbe vendere più mobili; la tecnica del laboratorio potrebbe cavarsela demandando il problema al suo capo; il direttore d’orchestra sarebbe forse invitato più spesso dalle orchestre stabili se tenesse d’occhio l’orologio. Nella vita ce la si può cavare benissimo senza dedizione. L’artigiano è la figura rappresentativa di una specifica condizione umana: quella di mettere un impegno personale nelle cose che si fanno.
Crediamo che oggi il saper fare artigiano abbia un ruolo fondamentale per il futuro della nostra società, sempre più legata a logiche di consumismo sfrenato di prodotti usa e getta, dove anche le nuove strategie di vendita on-line rendono sempre più disinvolte e convenienti le pratiche di acquisto di prodotti destinati a diventare spazzatura.
Un buon artigiano, grazie a chi si rivolge a lui, può tamponare tale tendenza:
• Attraverso la selezione ed il montaggio a regola d’arte di prodotti destinati a durare nel tempo
• Riparando o restaurando l’esistente
Per quanto ci riguarda, noi abbiamo avuto la fortuna di ritagliarci un ulteriore ruolo, grazie ad Enfap Marche, che è quello di formare persone che si trovano in condizioni di difficoltà come, ad esempio, disoccupazione o abbandono scolastico.
Abbiamo capito che oltre a formare dei lavoratori formiamo persone che sicuramente saranno capaci, grazie alla loro passione ed alla loro dedizione, di navigare a gonfie vele all’interno di questa società, che sempre di più tende a marginalizzare chi non parte da una posizione avvantaggiata.